A leggere le homepage – e poi gli articoli a riguardo – di parecchi quotidiani, Virginia Raggi sarebbe in procinto di essere processata, rischiando da 1 a 3 anni di condanna, per falso ideologico o abuso d’ufficio. La giustizia farà il suo corso, e il sindaco avrà modo di difendersi. E di pagare, se ha sbagliato. Tuttavia, c’è un’evidenza che i suddetti giornali non approfondiscono e che, invece, passa inosservata. Non si tratta della qualità dell’informazione (i pezzi relativi alla Raggi su Repubblica e Corriere fanno venire i brividi) sulla quale, purtroppo, c’è poco da fare, bensì sullo strano zelo che anima i procuratori che indagano sulla questione. Uno zelo straordinario, mai visto prima e che, mi auguro, da oggi in poi costituisca uno “standard” da parte degli inquirenti. Tuttavia, mi chiedo per quale motivo tale zelo non si sia palesato precedentemente. Tutta questa attenzione ai messaggi su Whatsapp, ai “mi ha detto” e ai comportamenti poco opportuni, come mai non è stata riservata a tanti poco illustri personaggi della politica e del mondo economico italiani? Dalle ministre che salvano le banche dei genitori, o che chiedono scarcerazioni ad hoc, ai governatori che elargiscono fondi a fratelli, o a figli assessori, nella recente storia d’Itaglia ci sarebbero “casi”, per così dire, che un processino lo meriterebbero, stante la facilità con cui si sta per mandare davanti al giudice il sindaco di roma. Mi chiedo, vista la capacità investigativa e le “prove” schiaccianti di conflitto d’interesse che i magistrati si apprestano a contestare al sindaco attuale, come sia stato possibile che alla scoperta di Mafia Capitale si sia giunti solo nel 2014, quando il materiale per indagare e processare – per reati ben più gravi – c’era già qualche (!) anno prima.
Meglio tardi che mai, dopotutto: visto come stanno andando le cose, da ora in poi il fuoco sacro della magistratura, con la stessa velocità, si abbatterà su buona parte degli amministratori d’Italia.
E chi ride oggi non lo farà domani.