Dieci anni fa moriva Indro Montanelli. Grande giornalista, scrittore, eccetera. Chi vuole sapere qualcosa in più su di lui può recarsi in emeroteca e chiedere le annate di Corsera, Giornale e Voce di quando era in vita e farsi una scorpacciata dei suoi scritti. Che erano quel che erano: eccezionali. Perché scritti bene ed esplicativi della situazione che voleva rappresentare. Un dono che pochi avevano, hanno.
Montanelli non era un santo: come Pasolini, De André e altri miti – veri o presunti – tirati per la giacca una volta morti e sepolti, aveva pregi e difetti molto probabilmente in egual misura. E’ il rovescio della medaglia della mitizzazione: quello di vedere tutto a tinte rosa e azzurre. Non sto dicendo che Montanelli fosse un laido o una cattiva persona; altresì, non sto dicendo che fosse la persona più bella del mondo, uomo dalla schiena dritta e altre puttanate da agiografia a buon prezzo. Scriveva bene, anzi benissimo, e pochi, come lui, erano capaci di raccontare quel che volevano con una prosa esatta, puntuale.
Ma sarebbe bene ricordare che prima di morire Montanelli era stato relegato nella sua Stanza al Corriere della Sera: una sorta di esilio, da lui voluto e tollerato dall’ultimo editore che si era scelto. I lettori, che oggi si commuovono leggendo i tanti articoli commemorativi comparsi su tutti i principali quotidiani italiani, lo avevano abbandonato da tempo. Quegli italiani con la ‘I’ maiuscola, quelli migliori che leggono, studiano, meritano ed emigrano all’estero perché l’Italia fa schifo, gli ‘Italians’ lo avevano bocciato senza pietà alcuna lasciando in edicola le copie della Voce, le cui prime pagine erano vergate proprio da lui, Indro Montanelli.
A cui io dico grazie non per tutto ciò che sosteneva nei suoi articoli ma per avermi quotidianamente stimolato, fatto incazzare, creato un’opinione.
Altro che mito: lo abbiamo trattato come un vecchio trombone. E oggi, da bravi, innestiamo la marcia indietro all’italiana, come al solito.
Lasciamolo in pace.
Se proprio non ce la facciamo, andiamo in una biblioteca a rileggerlo, invece di chiederci cosa “avrebbe voluto/detto/fatto” oggi.
Lasciamolo in pace. E’ il modo migliore per ricordarlo.